C’è un filo di lana che storicamente unisce la Sardegna a Venezia. Non solo un filo materiale, fatto di fibre intrecciate, ma un filo simbolico che tracciava rotte, intesseva relazioni, univa mondi lontani.

Insieme alla lana, dalle coste sarde partivano pelli, formaggi stagionati, tessuti artigianali. Merci preziose che attraversavano il Tirreno e l’Adriatico per raggiungere la Serenissima, crocevia di scambi e cultura nel Mediterraneo.
Quello tra la Sardegna e Venezia fu un legame silenzioso ma profondo, fatto di navi mercantili, porti affollati, dialetti che si mescolavano. Un ponte commerciale che racconta molto più di una semplice transazione: narra di antiche vie marittime, di saperi condivisi, di economie locali che dialogavano con grandi potenze.
Tra il XIII e il XV secolo la Repubblica di Venezia intrattenne relazioni costanti con la Sardegna, documentate dalle deliberazioni del Senato e dai Libri Commemoriali. L’isola rappresentava per la Serenissima una tappa importante nelle strategie mediterranee, sia come punto di approdo sia come fonte di approvvigionamento. In questo scenario, anche la Barbagia – sebbene lontana dai porti e isolata tra le montagne – entrò indirettamente nei circuiti veneziani attraverso i suoi prodotti pastorali.
Le comunità barbaricine, da secoli dedite alla pastorizia, producevano lane, pelli e formaggi che, con il ritmo delle stagioni, venivano trasportati dalle valli interne verso i mercati dell’Oristanese. Oristano, snodo commerciale vitale, fungeva da cerniera tra l’interno montuoso e i traffici marittimi. Qui si raccoglievano le merci provenienti dalla Barbagia, destinate poi a imbarcarsi verso le città marinare. Quando le rotte veneziane toccavano la Sardegna, queste derrate entravano a pieno titolo nello spazio economico della Serenissima.
Non si trattava di contatti sporadici. Il commercio dei prodotti dell’allevamento costituiva una risorsa stabile per l’economia sarda e un motivo di costante interesse per Venezia che mirava a garantire continuità negli approvvigionamenti di materie pregiate. Lane e pelli, dopo aver lasciato i mercati locali, potevano inserirsi nelle filiere manifatturiere e tessili veneziane, mentre i formaggi e altre derrate trovavano spazio nei circuiti alimentari della Repubblica.
L’interesse veneziano per la Sardegna si consolidò anche in età moderna. Nel 1709 la Serenissima istituì un Consolato a Cagliari; un chiaro segnale della volontà di radicare in maniera stabile i propri traffici nell’isola. Questa presenza istituzionale garantiva canali sicuri per il commercio delle merci provenienti dall’interno, inclusa la Barbagia.
In questo mosaico commerciale trova spazio anche Arbatax, porto naturale dell’Ogliastra. Pur marginalizzato dalle restrizioni imposte dai domini aragonese e sabaudo, il porto offrì comunque uno sbocco marittimo ai prodotti delle zone interne. Parte di quelle merci, trasportate via Arbatax e successivamente convogliate verso i grandi porti del Mediterraneo, finiva nei circuiti veneziani, rinsaldando un legame – seppur indiretto – tra il cuore pastorale della Sardegna e la capitale dell’Adriatico.
Oggi il Parco Naturale di Arbatax Park custodisce e valorizza quelle antiche tradizioni della Sardegna pastorale, dove gli animali raccontano ancora la storia dell’isola. Pecore, capre e bovini evocano i mestieri di un tempo: dalla lana per i tessuti alle pelli lavorate, fino ai formaggi genuini, simboli vivi di identità e cultura.
La storia dei rapporti tra la Sardegna e Venezia, tessuta lungo le rotte del Mediterraneo, dimostra come anche le aree più interne e apparentemente isolate, come la Barbagia e l’Ogliastra, fossero parte attiva di un sistema economico più ampio. Attraverso la lana, le pelli, i formaggi e le altre risorse della pastorizia, queste terre dialogavano con grandi potenze marinare, contribuendo – silenziosamente ma con continuità – agli scambi che univano isole, porto e capitali.
Luoghi con l’Arabatax Park custodiscono non solo un patrimonio naturale ma anche la memoria concreta di quel mondo pastorale. In un tempo in cui riscoprire le radici significa dare senso al presente, quei fili antichi che legavano la Sardegna alla Serenissima parlano ancora, intrecciando storia, cultura e identità.
