Alberto Rizzi, si prepara a presentare il 15 dicembre, all’Ateneo Veneto, il suo nuovo libro “Le vere da pozzo veneziane” (Cierre Edizioni). Il 27 settembre scorso a Senigallia, provincia di Ancona, ha ricevuto il prestigioso Premio Niccolò Tommaseo dall’Associazione Dalmati Italiani nel Mondo.
Alberto Rizzi, classe 1941, archeologo, studioso, già funzionario della Soprintendenza e addetto culturale in Polonia, è voce autorevole della Venezia meno conosciuta. I suoi lavori illuminano aspetti unici della città e del suo patrimonio: dalle vere da pozzo alle patere, simboli della vita quotidiana e della memoria urbana, ai leoni di San Marco, emblema di potere e identità, fino agli studi sulla Dalmazia, terra di scambi e contaminazioni culturali.
Nella sua casa veneziana, un luogo che riflette la sua storia personale e familiare, decine e decine di scaffali sono pieni di volumi, fotografie dei genitori, oggetti che parlano di viaggi, radici e passioni.
Dottor Alberto, innanzitutto congratulazioni per il Premio Tommaseo. Come si sente dopo questo riconoscimento?
È una grande emozione. Non solo per me ma anche per il legame che questo premio ha con la storia della Dalmazia, una terra a cui sono molto legato e che ho studiato a lungo. Uno dei libri, formato grande, ha 1500 pagine, altri trattano i leoni di San Marco che si trovano in Dalmazia. È un riconoscimento che sento profondamente.
La sua famiglia materna era armena, quella paterna veneziana. Il nonno era funzionario dal sultano, lo zio abate/vescovo nell’Isola di San Lazzaro, la madre Cristina Aslanian fu esule da Costantinopoli dove convivevano greci, armeni, ebrei, i turchi invece si occupavano dell’armata. Quanto hanno influito queste radici sulla sua sensibilità verso la memoria e la storia?
Tantissimo. In casa respiravo il valore della memoria e delle radici, anche quelle perdute. Credo che il mio lavoro nasca anche da lì: dal bisogno di conservare e raccontare ciò che rischia di essere dimenticato.
Come è nata la sua passione per le vere da pozzo?
Fin da ragazzo mi colpivano: erano lì, silenziose, a raccontare secoli di vita quotidiana. Ogni vera da pozzo è diversa, con la sua forma e la sua storia, e insieme sono un patrimonio unico.
Il nuovo libro raccoglie circa 1300 vere da pozzo pubbliche e private che sono il 90%. Sono custodite nei musei, nelle isole della laguna, all’estero, soprattutto a Budapest, a Parigi, a Londra. Come le ha scelte?
Ho cercato di offrire un percorso che toccasse tutta Venezia, sestieri e campi, anche dell’entroterra veneto, soprattutto nelle ville, per restituire una visione d’insieme. Alcune le ho selezionate per la loro bellezza, altre per la loro rarità, altre ancora perché poco conosciute. C’è anche un catalogo di vere da pozzo che sono state vendute nell’800, andate perdute o presunte tali. Molte vere da pozzo antiche sono state portate invece nelle ville usando il naviglio del Brenta o il Dese. Era diventata una moda. A Venezia, a fine Ottocento le vere da pozzo sono di moda, poi finita. Servivano da status simbol in un castello o villa. Accanto a questi originali c’era anche una produzione enorme di falsi, alcuni intenzionali, altri invece che spacciavano per originali. E ancora non sono state tutte catalogate.
C’è una vera da pozzo a cui è particolarmente legato?
Sì, più di una e sono quelle più antiche, quelle cosiddette veneto bizantine che sono le più rare. Ce ne sono alcune che mi riportano a ricordi personali, altre che considero veri gioielli artistici. È difficile sceglierne una sola: ognuna ha un carattere speciale.
Durante le ricerche ha vissuto episodi curiosi o emozionanti?
Sì, spesso. A volte i residenti mi hanno raccontato storie legate al loro pozzo di campo, altre volte ho trovato iscrizioni o dettagli che non erano mai stati documentati. Sono piccole scoperte che danno senso al lavoro.
Cosa raccontano le vere da pozzo ai veneziani di oggi?
Raccontano la vita quotidiana, l’ingegno dei nostri antenati, l’arte che entra persino negli oggetti più utili. Ci ricordano che Venezia non è fatta solo di palazzi e chiese, ma anche di dettagli che tenevano insieme la comunità.
Venezia custodisce abbastanza questi piccoli tesori?
Si fa molto, ma non è mai abbastanza. Hanno un valore ambientale notevolissimo. Serve cura, manutenzione, e soprattutto la consapevolezza che anche questi elementi minori fanno parte del volto autentico della città. Vorrei ricordare un episodio emblematico accaduto nell’agosto del 2008 quando con uno stratagemma di un falso restauro fu rubata la trecentesca vera già in Corte dei Pontei (cioè puntelli) a San Cassan. Alcune persone vestite da operai avevano montato in pieno giorno una staccionata attorno alla vera, situata in una piccola e appartata corte pubblica. Dopo un certo tempo non avendo nessuno del vicinato chiesto spiegazioni smontarono la staccionata e con tutta calma imbarcarono la vera da pozzo nel vicino Canal Grande.
Se dovesse consigliare tre vere da pozzo a un visitatore curioso, quali indicherebbe?
Ce ne sono molte, le sceglierei di epoche diverse. Sicuramente la prima da visitare, in quanto antica, cioè pre-gotica, si trova nel cortile del Museo di Storia Naturale. La collocazione originaria era a Murano. Il Fondaco dei Turchi custodiva una trentina di vere da pozzo, successivamente trasferite e accantonate al Museo Archeologico Nazionale di Venezia. Per quelle gotiche la più nota e tra le più belle è la vera da pozzo della Ca’ D’Oro. Per ultimo suggerisco la vera da pozzo settecentesca, barocca, che è nel campo di San Marcuola.
Qual è il suo sogno?
Poter vedere restaurata e accessibile alla città la vera da pozzo del ‘500 ai Gasometri, quella dipinta dal Canaletto e dal Guardi, in Campo San Francesco della Vigna.
Dopo questo volume, ha già nuovi progetti?
Sto continuando a raccogliere materiali e riflessioni, ma per ora voglio che il libro del 15 dicembre faccia la sua strada. È un’opera a cui tengo moltissimo.
Conversare con Alberto Rizzi significa incontrare non solo uno studioso rigoroso ma un uomo che ha fatto della memoria la sua missione. Le vere da pozzo, le patere, i leoni di San Marco, la Dalmazia: frammenti che compongono un’unica ricerca, restituendo a Venezia il volto intimo e autentico della sua storia.
Il 15 dicembre, ore 17,30, all’Ateneo Veneto, con la presentazione del nuovo volume “Le vere da pozzo veneziane” Rizzi aggiungerà un altro capitolo al suo impegno: un dono alla città e a chiunque voglia guardarla con occhi nuovi. Nella sua casa colma di ricordi, tra fotografie e oggetti di una vita, resta la sensazione di aver incontrato un custode della memoria: qualcuno che non studia solo le pietre, ma il respiro di una città che continua a vivere attraverso chi la racconta.
