Quali orientamenti etico/valoriali suggerisce al giornalista nella società 4.0 e delle criptovalute?
Oggi più che mai, a mio giudizio, il giornalista è chiamato a mettere in campo e dimostrare in ogni momento la sua professionalità e, quindi, il rispetto delle regole di deontologia che caratterizzano questo mestiere molto particolare. Ecco allora lo scrupolo nella raccolta delle notizie, il vaglio dei fatti e soprattutto la loro limpida interpretazione, l’accurata ricerca e verifica delle fonti, il maggior grado possibile di obiettività nei confronti della realtà raccontata – superando ogni tentazione ideologica -, la capacità di far pensare, riflettere ed esprimere un motivato giudizio critico: sono tutti elementi che un giornalista, anche e soprattutto in quest’epoca, non può non tenere in considerazione.
Cosa pensa del ruolo del giornalista immerso tra articoli, fotografie, produzione di materiali multimediali?
Credo che in tale contesto mantenga un ruolo fondamentale perché, sempre se non viene meno ai caratteri deontologici e valoriali di cui abbiamo appena detto, proprio il giornalista dovrebbe garantire quel compito di selezione e discernimento, tra tanto materiale talvolta disponibile e in forma non sempre precisa o esatta, e quindi di valutazione della realtà per poterla raccontare e porgere ad altri nel modo più efficace ma anche più corretto e congeniale. È un ruolo, quello del giornalista, che evoca e richiama, in modo forse più diretto di altri, quei concetti di libertà e responsabilità – da esercitare pienamente – che appartengono all’uomo in generale e ad alcune professionalità in modo più specifico.
Secondo Lei come il lettore sta vivendo l’informazione nella società a cavallo tra due rivoluzioni epocali, quella della carta non conclusa e quella del digitale appena iniziata?
Qui dipende molto dalla consapevolezza, dalla maturità e dalla capacità informativa e critica, di discernimento e di adattamento del lettore alla nuova situazione in un mix di curiosità e, magari, anche un po’ di confusione e spaesamento per il ritmo e l’incedere spiazzante di informazioni e innovazioni. Alla “vecchia” carta in molti, io stesso, siamo ancora molto legati ma, nello stesso tempo, siamo tutti in qualche modo già immersi e coinvolti nella rivoluzione digitale.
Lei ha spesso argomentato sull’emergenza educativa e culturale. Oggi si può parlare anche di emergenza dell’informazione?
Se ne può e se ne deve parlare se e quando l’informazione si fa ingabbiare dal pregiudizio, dalle chiusure preconcette, dai filtri ideologici, dalla banalità, dal ricorso sistematico al “politicamente corretto” (che può diventare anche una sorta di nuova dittatura) e non riesce ad intercettare e a cogliere la realtà umana e della storia nella sua profondità e nei suoi sviluppi.
Quasi 8 miliardi di persone abitano il mondo e circa 4,7 accedono ad internet. Tra questi 4,2 miliardi di persone sono connessi ai social. Secondo il Suo osservatorio in che misura la relazione digitale rischia di sostituire quella umana?
Anche quella che avviene su canali e mezzi digitali è, ormai, una forma di relazione umana e dobbiamo tenerne conto. Ma ci si deve chiedere se mantiene ed esalta l’umanità concreta di chi, da ambo i lati, la vive oppure se finisce per deturpare, ridimensionare o addirittura cancellare l’umanità dei soggetti coinvolti. Ecco perché, in ogni caso, oggi avvertiamo sempre più la necessità di restituire alla comunicazione una prospettiva più ampia e, soprattutto, di rimettere al centro la persona e la sua dignità. L’essere nel bel mezzo di questa rete non deve far dimenticare che la persona è relazione: vive e cresce nelle relazioni, si impoverisce nella mancanza di relazioni. La relazione, anche quella digitale, sia sempre un’opportunità d’incontro autentico con l’altro.
Siamo a Venezia, centro di relazioni internazionali. Secondo Lei come può la città favorire la libertà di stampa?
La storia di Venezia, nei secoli, è fatta anche di una vivacità culturale ed intellettuale che ha via via generato e sviluppato una presenza editoriale e di stampa sempre molto significativa e, direi, tipica di una grande città dallo sguardo e dall’orizzonte sempre aperti al mondo. Venezia poi è sempre stata “esperta” di comunicazioni, relazioni e contatti ad ampio raggio. Sta ai veneziani e agli operatori dell’informazione di oggi ravvivare e rinnovare tale propensione, coltivando e promuovendo l’esercizio di una maggiore libertà di espressione e di stampa.
Ripercorrendo la lunga storia di Venezia e guardando ai cambiamenti climatici in corso la città è comunicata come città fragile o come città resiliente?
Le cronache di questi ultimi due anni – penso alle immagini della città travolta e sommersa dall’acqua granda o poi a quella di una Venezia deserta causa pandemia – hanno evidenziato di nuovo, in maniera enorme, quel carattere di fragilità che s’intreccia, peraltro, con la bellezza unica ed intrinseca di questa città. È una Venezia da perenne cartolina, sempre splendida e struggente, ma che rischia anche di restare imprigionata in quest’immagine che, pure, la connota. Non mancano, comunque, segni e storie contemporanee di resistenza e resilienza ma tutto ciò ha bisogno di essere maggiormente evidenziato e raccontato, sia dai veneziani che ne sono protagonisti che dai mezzi d’informazione, vecchi e nuovi, chiamati forse a fare uno sforzo in più di osservazione e analisi critica della realtà di Venezia.