Piazza San Marco e Basilica affollate fino all’inverosimile tra lo sventolare di bandiere e gonfaloni. Era settembre 1953, primo raduno dei Dalmati. Per quel speciale incontro erano accorse 6000 persone, come nel raduno 1963 e sempre a Venezia.
Avevano ferite aperte e dolori indescrivibili ma c’era un grande desiderio di incontrarsi e di sapere le condizioni di vita dell’uno, dell’altro e dell’altro ancora. Per restare italiani erano scappati dalla Jugoslavia, oggi Croazia, verso l’ignoto e avevano perso tutto. La guerra aveva strappato, allontanato e disperso dalla terra natale uomini, donne, bambini e nel 1953 numerosi esuli giuliano–dalmati vivevano ancora situazioni di emergenza in campi profughi o in abitazioni di fortuna e nuclei familiari occupavano stanzoni separati da coperte con la scritta UNRRA (Società di aiuti internazionali americana).
Di anni ne sono passati quasi settanta, eppure il ricordo della giornata è rimasto ben impresso nella memoria (e nel cuore) di Piergiorgio Millich.

Nato a Zara nel 1942, esule a nove mesi a Bassano del Grappa (Vicenza) poi a Mestre (Venezia), Spinea, ancora a Mestre, Piergiorgio nel 1953 aveva undici anni ed era accompagnato dai genitori Lucia e Vincenzo. Le sue parole: “Quel giorno mia madre e mio padre sono rinati. Gli mancavano le relazioni, i contatti. La giornata a San Marco era diventata un bagno del “ti te ricordi? dove xefinìo? xe nato, xe morto, io gà copà”. C’era il desiderio di informarsi sulla vita degli altri, l’emozione del ritrovarsi, come ad una festa di diplomati o laureati. Il mio punto di osservazione era molto ridotto, particolare perché ero tutto preso dall’emozione dei miei genitori”.
Oggi, Piergiorgio, marito, padre, nonno, architetto, è il Guardian Grande della Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone, detta anche Scuola di San Giorgio degli Schiavoni. Un’antica associazione di cittadini di origini dalmate che si trova nel sestiere di Castello e risale al 1451, una realtà unica nella storia di Venezia, secoli di storia e di convivenza pacifica tra le due sponde dell’Adriatico. In occasione del Giorno del Ricordo, celebrato il 10 febbraio e istituito con legge 92/2004 per “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa del confine orientale”.


Piergiorgio Millich sottolinea: “Quei fatti vissuti in modo traumatico ci hanno cambiato il tipo di vita, ci hanno estraniato dall’ambiente e dalle cose. Mio padre capì subito che la situazione stava diventando molto pericolosa. Così lasciammo Zara e affittò una villa nel vicentino. Fu la nostra salvezza”. La sua famiglia era benestante ma ben presto il capitale si assottigliò. Continua Piergiorgio: “Ero bambino, non dovevo affermare quello che ero ma dovevo capire come muovermi. Quando uno va in una foresta deve vestirsi di verde se vuole vivere. Così feci anch’io, mi adattai”. Attorno c’era rancore verso gli esuli. E spiega: “Per ripagarci della nostra italianità e dell’abbandono dalle nostre terre lo Stato aveva avviato un programma edilizio/abitativo, stanziato contributi per l’edilizia popolare e riservato quote o punteggi superiori per avere posti pubblici o accedere ai bandi popolari. Non siamo mai stati ben accolti ma per non alimentare odio ho sempre preferito il silenzio”. E conclude: “Quello che mi avvilisce nella vita è l’ignoranza ed è davvero triste parlare di un argomento senza averne la conoscenza. La storia dell’esodo è poco conosciuta, purtroppo interessi politici l’hanno messa a tacere. L’invito che rivolgo soprattutto ai giovani è questo: conosciamo la storia”.
Venezia, per gli esuli giuliano–dalmati, ha rappresentato un importante punto di riferimento.
Da Pola le navi salpavano per Ancona e Venezia. Qui venne allestito un centro di smistamento con quattro campi profughi, il Convitto Marco Foscarini in fondamenta di Santa Caterina, sestiere di Cannaregio, l’Istituto dei Tolentini, oggi Iuav, la Scuola Giacinto Gallina vicino all’Ospedale Civile Santi Giovanni e Paolo, la Caserma Cornoldi in Riva degli Schiavoni. In centro storico numerosi istriani, soprattutto di Pola, trovarono ospitalità presso la caserma Sanguinetti a San Pietro di Castello, nella scuola meccanici in Campo della Celestia, nelle casermette sommergibili dietro le mura dell’Arsenale. Al Lido famiglie furono sistemate in alcuni forti e a Mestre, a Carpenedo, presso la Scuola di Via del Rigo.
Alcuni numeri. Nei centri raccolta veneziani transitarono migliaia di profughi, 8.289 si fermarono nel Comune di Venezia (centro storico e terraferma). Per loro prese avvio un programma edilizio/abitativo, l’Opera per l’assistenza ai profughi giuliani e dalmati costruì 2000 appartamenti soprattuto in provincia di Venezia, la maggior parte a Marghera.
Per approfondire “Il libero comune di Zara in esilio” continua su Il Trentino Nuovo.
© Galleria foto per concessione in esclusiva della Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone di Venezia
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